giovedì 31 marzo 2011

Concerti imprevisti: Roger Waters che fa "The Wall" @ Palau Sant Jordi

Roger Waters? Ancoooooraaa?!? E cosa suona? La stessa cosa da una vita: "The Wall"!!! Bastaaaaaa! Non se ne può più! E lo strillo pubblicitario ha persino il coraggio di scrivere "Dopo 30 anni, finalmente i fans dei Pink Floyd hanno l'opportunità di rivedere The Wall dal vivo!"
Finalmente? FINALMENTE??? Ma se non fa altro, se non parla d'altro, se nelle ultime tre decadi abbondanti (l'album é del '79) abbiamo sentito parlare di lui solo per lo sfrantecamento di maroni della storia di Pink, del padre morto ad Anzio, del suono di aerei che si schiantano al suolo e dell'ormai insopportabile chitarrina di "Another Brick" e annesso coro di bambini destacippa?!?

Detto questo.
All'ultimo momento ho preso il biglietto e ci sono andato. Perché insomma, "The Wall". I miei 18 anni e una musicassetta consumata, comprata a Spezia durante un infruttuoso blitz da Levanto (era lunedì, tutto chiuso, tranne una bancarella di cassette). E in Costa Azzurra col Ford Transit (o era il famigerato viaggio in Irlanda? Comunque col mitico furgone) nel '90, nel '92. E "In the flesh? In the flesh!". E soprattutto, checché se ne dica, uno dei dischi più significativi della musica rock: verboso, ossessivo, spezzettato, troppo lungo, con gli altri Pink Floyd relegati a figurine sullo sfondo (a Gilmour, Waters lasciò un paio di assoli dei suoi, con Mason e Wright semplici turnisti); secondo me, adoratore di Syd Barrett, un disco decisamente "minore" dei Floyd che ho amato e odiato in diversi periodi della mia vita. Mille difetti dunque, ma nonostante questo resta sempre "The Wall".

Quindi, eccomi qui al Palau Sant Jordi, persino in buona posizione nonostante l'acquisto dell'ultim'ora. Ho messo la maglietta di Les Claypool: spero avrebbe apprezzato il pensiero, lui che dei Pink Floyd é un estimatore. Il concerto é un vero spettacolo, con il muro che mattone dopo mattone viene costruito fino a coprire totalmente il gruppo alla fine del primo set, per poi fare da sfondo a fantasmagorici filmati ed effetti speciali nella seconda parte, fino al crollo fragoroso alla fine di "The Trial". Tutto come da copione, magari con poche sorprese per gli appassionati: il solito aereo che si schianta contro il muro, i pupazzoni, il coro dei bambini destacippa ("bravo als nens", dice Waters in pseudocatalà), i filmati tratti dal famoso/noioso film di Alan Parker, l'immancabile porco volante che se non ci fosse stato ci saremmo rimasti tutti male. Qualche momento toccante anche se tutto sommato scontato: le foto di persone scomparse in varie guerre, dall'immancabile signor Waters Senior ai caduti in Iraq di ambo le parti; un giovane Roger che canta "Mother" a Earls Court nel 1980 e che si sovrappone in video a quello ingrigito di oggi; riferimenti alla drammatica attualità di questi anni violenti.
Un po' kitch, spesso un po' retorico, anche un po' "vecchio": 32 anni sono 32 anni per tutti. Le hit sentite mille volte e sempre a rischio di entrare nella temibile categoria della musica da supermercato ("Another Brick in the Wall part 2", "Confortably Numb", "Run Like Hell"),  ma non ci sono storie: quando partono certe canzoni ("The Thin Ice", "Goodbye Blue Sky", "One of My Turns", "Hey You", "Vera", "Nobody Home", "Waiting for the Worms" con quel megafono) vengono i brividi e ci si rende conto di essere spettatori di un pezzetto di storia.
Insomma: pomposo finché si vuole, freddo forse, certamente autocelebrativo, ma confezionato da dio, visivamente (come da tradizione floydiana) ancor più che musicalmente. Un meccanismo perfetto a cui sono contento di aver assistito.

In the flesh?
In the flesh.

mercoledì 16 marzo 2011

grandi acquisti sivigliani

per la serie "Musici sottovalutati": Matt Johnson e i THE THE (che poi è la stessa cosa)

Ancora una volta, colpa del noleggio cd di via Soncino a Milano.
Era il 1993 ed ero in pieno periodo di scoperta musicale, e il negozietto vicino a via Torino era una gran manna dal cielo, in anni in cui ancora internet e il download non si sapeva nemmeno cosa fossero (pare di parlare di un'altra era geologica, eppure son passati "solo" 18 anni) (DICIOTT'ANNI??? AAAAAAH!).
Insomma, arriva un bel giorno in cui insieme a chissà cos'altro decido di noleggiare "Dusk", album fresco di stampa di un gruppo inglese dallo strano nome: "The The", nome dietro cui si cela il solo Matt Johnson di volta in volta accompagnato da musicisti diversi. In quegli anni il buon Matt suonava circondato da un gruppo vero e proprio: James Eller (già con Julian Cope), Dave Palmer, D.C. Collard e soprattutto l'ex-Smiths Johnny Marr alla chitarra. Nientepopodimenoche. Avevo già letto ottime recensioni, io cresciuto a pane e Mucchio Selvaggio (e, in quel periodo, onnivoro: Rumore, Rockerilla e a volte persino Buscadero. Ma poco.), ma le aspettative non erano altissime: tutto sommato i The The non erano certo una stella di prima grandezza, almeno in Italia. Non immaginavo che inserendo il cd nel lettore sarebbe stata una tale folgorazione: gente, "Dusk" era il disco perfetto, e lo è ancora a distanza di così tanto tempo.
Un inizio strano, con un gracchiare di vinile che fa da sottofondo al solo Matt Johnson e alla sua chitarra acustica in un'introduzione mezzo parlata e mezzo urlata apparentemente live, con ammiccamenti vocali tra "ooooh" e risate del (finto?) pubblico. É "True happyness this way lies", splendida e struggente con quel suono delle corde dell'acustica in primo piano. Da lì in poi, una sequenza di canzoni una più bella dell'altra, senza cali di tono: dopo l'inizio in solitaria, a Johnson si aggiunge il gruppo ed è un torrido organo a segnare il sound della successiva "Love is stronger than death". Quante volte ho riascoltato le ultime note della canzone, con l'Hammond che vibra e cambia e si stratifica, ogni volta in un modo apparentemente differente! E poi, a seguire, un filotto di capolavori: "Dogs of Lust" (ricordo il video con il gruppo sudatissimo a suonare in una stanza riscaldata ad arte, a sottolineare il testo When you're lustful, when you're lonely and the heat is rising slowly), il crescendo di "This is the night" che muta senza stacchi nella splendida "Slow emotion replay", che solo in un mondo ingiusto e superficiale come il nostro non é diventata un hit internazionale. E che testo! The more I see, The less I know (...) Everybody knows what's going wrong with the world, but I don't even know what's going on in myself (...) I'm just a slow emotion replay of somebody I used to be...
E via verso il finale: "Helpline operator", "Sodium light baby", "Bluer than midnight" e la conclusiva "Lonely planet" (If you can't change the world change yourself), inframmezzate solo dalla quasi strumentale e intima "Lung shadows".
Uno spettacolo. Malinconia e gioia, melodia e rumore, morbidezza e ruvidità, sole e luna, in questo grande album c'é davvero tutto quello che cerco in un disco.
Matt Johnson ha scritto altri grandi album, in particolare il precedente "Mind Bomb", con lo stesso identico gruppo, e grandissime canzoni, sempre con intensità e con elevatissima qualità sia a livello di testi che di soluzioni musicali, ma a mio parere mai con questa completezza.
Un innovatore, capace di passare con naturalezza attraverso diversi stili musicali trovando sempre melodie e arrangiamenti allo stesso tempo semplici e così sorprendenti, pur mantenendo uno squisito gusto pop. Poche le note fuori posto, e testi spesso impegnati e importanti, spesso anticipatori di temi di grande rilevanza sociale (si pensi a "Armageddon days are here again", in cui Johnson nel 1986 criticava aspramente l'uso della religione per fini decisamente terreni e anticipava il tema del conflitto tra religioni che sarebbe diventato drammatica realtà più di dieci anni più tardi).
É dal 2000 che Matt Johnson non pubblica un nuovo album di canzoni (l'anno scorso uscì la colonna sonora del film "Tony", tutta strumentale, a 10 anni dall'ultimo "NakedSelf"); dedicandosi apparentemente più all'impegno sociale che alla musica e facendoci arrivare sue notizie attraverso il suo sito. Davvero mi auguro che non ci faccia aspettare ancora molto, abbiamo bisogno di una voce così talentuosa e fuori dal coro.