lunedì 26 settembre 2011

piccolo ricordo di Sergio Bonelli

Oggi è morto Sergio Bonelli, figlio di cotanto padre ma non solo: da decenni il principale autore di fumetti italiano e a sua volta autore di personaggi storici (Zagor, mai cagato, e Mister No che invece per un periodo discretamente lungo ho letto avidamente) con il nom de plume di Guido Nolitta.
Non mi dilungherò sull'uomo e sul personaggio, sulla sua importanza nel panorama fumettistico italiano e non solo: leggerete di tutto e di più sui giornali nei prossimi giorni. Da parte mia, solo un piccolo ricordo personale.

Feci la mia tesi di laurea sul fumetto (lo so, sono laureato in economia: e allora?), trattando a margine il caso Sergio Bonelli Editore contrapposto a quello Panini (allora Marvel Italia); per l'occasione chiesi un'intervista a Bonelli che però era fuori Milano per lavoro, o forse per uno dei suoi viaggi in Amazzonia, chissà. Parlai quindi con Decio Canzio, suo braccio destro e ligure come me, e finimmo per parlare di focacce e insenature. A Sergio Bonelli inviai una copia rilegata della tesi, dopo la laurea, non nascondendo il mio desiderio di lavorare per la sua casa editrice. Mi rispose con una lettera molto gentile che no, loro marketing non ne avevano ma si affidavano piuttosto all'esperienza e all'istinto. E commentò la mia tesi, con riferimenti precisi alle pagine e ad alcune cose che avevo scritto, correggendomi e incoraggiandomi.
Lo ringrazio per la passione e la pazienza, oltre che per il coraggio di essere stato una delle due o tre persone ad aver letto quel mattone piuttosto insignificante.
Come concluderebbe uno dei personaggi da lui pubblicati, forse il migliore di tutti: so long, Sergio...

sabato 17 settembre 2011

gruppi "unici": 3) PRIMUS

Ah, i Primus! Sono uno di quei gruppi che mi ha sempre fatto ridere. Ce n'è una sfilza, di gruppi e cantanti che amo per l'allegria che mi suscitano: Cramps, Violent Femmes, Flaming Lips, ovviamente Jonathan Richman. I Primus sono diversi anche in questo, un cartone animato in musica: merito innanzi tutto del loro leader indiscusso, Les Claypool, della sua maniera asolutamente incredibile di suonare il basso, della sua "voce" (qui mi è venuto da metterci le virgolette, volendo evitare il banale paragone con Paperino) e della sua vena assolutamente cazzona e surreale. Uno che solo per fare un esempio, intitola il sito web del gruppo "Primus Sucks" ("i primus fanno schifo"), che chiama il suo studio di registrazione "Prawn Songs" (in omaggio alla "Swan Songs" di ledzeppeliniana memoria, ma sostituendo il cigno con un gambero), che ha un fan club chiamato "Club Bastardo" o che ama travestirsi da maiale in pubblico o da pinguino per presentare un singolo da David Letterman. Per non parlare degli esilaranti video che da sempre accompagnano i loro singoli, grande sberleffo alle mode patinate della MTV dei tempi d'oro.

Les. 
Claypool.

Les Claypool è il dio indiscusso del basso, e sfido chiunque a dire il contrario: funambolico è l'aggettivo più usato e abusato (e quindi ne abuso anch'io, tiè) per descrivere il suo stile. Il basso è naturalmente lo strumento su cui si basa ogni canzone di questo gruppo nato a metà anni '80, che esordì con un live autoprodotto (o meglio, prodotto coi soldi di Mr. Claypool senior) in cui era già presente molto di quello che li avrebbe caratterizzati negli anni del grande successo: le canzoni innanzi tutto, riprese due anni dopo nella quasi loro totalità nel loro primo album in studio (l'epocale "Frizzle Fry"), ma anche il pupazzo di plastilina in copertina, il gusto per il grottesco e la grande ironia cazzara che li avrebbe contraddistinti oltre che distinti dagli altri gruppi indie rock che nascevano con loro in quegli anni che sarebbero sfociati nel grunge, spesso prendendosi troppo sul serio. La formula musicale era già ben definita dopo anni on the road: il basso scatenato di Les e la batteria di Tim "Herb" Alexander scandivano la parte ritmica, con grande inventiva e cambi di ritmo continui, mentre la chitarra elettrica di Larry LaLonde andava per i fatti suoi, con l'assolo dissonante decisamente preferito alla ritmica.
Nel corso degli anni questo stile, tra metal, hard rock, funk, filastrocca per bambini e Frank Zappa (il termine di paragone spesso usato per trovare un riferimento a un gruppo che ne ha talmente pochi), si perfezionerà in un crescendo di album bellissimi: dopo "Frizzle Fry" arriveranno "Sailing the Seas of Cheese" (il formaggio sembra piacere parecchio al nostro Les, tanto che confezionerà una raccolta come una fetta di Emmental e intitolerà "Tour de fromage" il tour del rientro sulle scene, un paio d'anni fa), "Pork Soda", "Tales form the Punchbowl". Poi, dopo un cambio di batterista, un paio di EP di cover e un paio di mezzi passi falsi come "The Brown Album" e soprattutto il conclusivo "Antipop", che contengono qualche grande pezzardone dei loro ma anche qualche riempitivo e troppi ospiti "famosi" per essere veri, strizzando in più di un'occasione l'occhio al metal convenzionale. L'unico punto fermo è la clamorosa ospitata di Tom Waits in "Coattails of a Dead Man": il nostro Orco preferito è del resto amico e fan del gruppo, avendo partecipato ai loro album fin dalla storica e sempre impressionante "Tommy the Cat" e avendo ricambiato l'ospitalità in "Big in Japan" sul suo album "Mule Variations".

Da allora, e siamo nel 1999, poche notizie dei Primus: anche se lo scioglimento ufficiale non arriva mai, Les si dedica a una miriade di progetti paralleli, mettendo in naftalina il suo gruppo principale ma continuando a fare musica coi nomi più diversi (Sausage, Colonel Claypool's Fearless Flying Frog Brigade, Colonel Claypool's Bucket of Bernie Brains, Oysterhead, The Holy Mackerel) e collaborando con nomi illustri (Bernie Worrell dei Parliament, Buckethead, Trey Anastasio dei Phish, Stewart Copeland dei Police), e arrivando finalmente a pubblicare album a suo nome. La sua musica si fa sempre meno definibile col passare del tempo, e ci si perde un po' nel cercare di seguire questa traiettoria, che spazia da cover dei Pink Floyd (con i Frog Brigade arriva a pubblicare il rifacimento dell'intero "Animals") al free jazz. Il basso, quel basso, è sempre lì in primo piano ma a un certo punto si inizia a pensare: Les, aridacce i Primus!
E invece solo un EP di inediti nel 2003, un paio di DVD e ancora nulla per altri troppi anni. Poi, poco a poco, rieccoli tornare: un tour nostalgico che va tanto di moda, per la serie la-ritrovata-gioia-di-suonare-insieme-dopo-anni e quello-spirito-che-si-era-perso-e-all'improvviso-eccolo-qua. E soprattutto un album nuovo, appena uscito e che -UDITE UDITE - è anche un gran bell'album! Si intitola "The Green Naugahyde", ha un omino di latta che va in bici in copertina e vede il batterista originario Jay Lane rimpiazzare Herb che evidentemente ha il cuore duro e non si è fatto fregare dalla bellezza del revival. Peggio per lui: grandi canzoni, poche pippe progressive e back to "Frizzle Fry" e "Seas of Cheese": sentire "The Last Salmon Man", "Moron TV", l'iniziale "Hennepin Crawler", il primo singolo "Tragedy's A-Comin'" o una delle mie preferite, "Lee Van Cleef", per credere.
Spirito originale recuperato, qualità altissima, nessuna operazione-nostalgia fine a sé stessa. Un grande ritorno, che spero sarà portato prestissimo in giro dal vivo anche da queste parti. Come i Primus, nemmeno nel 2011, non c'è nessuno in vista.

Nota di colore: ebbene si, erano proprio loro a suonare la sigla di South Park. "Cartoni animati in musica", dicevo all'inizio: ecco che il cerchio si chiude. Primus sucks!

venerdì 9 settembre 2011

Micah P. Hinson rifà i Pixies all'Apolo

Il Micah Paul Hinson che esce alle 21.15 sul palco dell'Apolo è la quintessenza del nerd: magrissimo e un po' sghembo, viso spigoloso troppo grande per quel corpo sottile, orecchie a sventola su cui appoggiano occhiali dalla grande montatura, capelli leccati con la riga da una parte; e poi canotta, bretelle e zainetto in spalla (lo terrà accanto a sè per tutta la sera, frugando ogni tanto nelle tasche a cercare chissà cosa) e braccio al collo, conseguenza dell'incidente d'auto patito a luglio sulla strada da Zaragoza a Barna che lo obbligò a cancellare le date estive. Esordisce proprio dicendo che non sta bene, e che è quasi senza voce per aver urlato le sere prima "like a fucking maniac".
Spera che ci vada bene lo stesso e, subito dopo una intro di chitarra e batteria notissima ed entusiasmante per tutti i presenti, attacca con un vocione roco e stonatissimo che pare impossibile esca da quel corpo così esile: "Why do Cupids and angels continually haunt her drems like memories of another life is painted on her shirt in capitals...". Al primo urlo si capisce che il ragazzo fa sul serio. 
Fucking maniac.
Il ciclo di concerti "We used to party" è composto da cantanti o gruppi noti a cui viene chiesto di suonare per intero un album da loro scelto: si iniziò qualche mese fa con "London Calling" dei Clash riproposta live da Chuck Prophet (gran concerto, anyway), e ora è il turno del texano Micah, autore dalla vita complicata e  dalle grandi capacità poetiche tornato alla grande nel 2010 con l'ultimo album "The Pioneer Saboteurs". Musicalmente siamo dalle parti dei vari Bill Callahan, Will Oldham, Sparklehorse, Leonard Cohen, per cui non so cosa aspettarmi dalla scelta di "Trompe le Monde" dei Pixies: pare agli antipodi e invece leggo in un'intervista che è nientedimeno che "il disco che gli ha cambiato la vita" quando aveva 10 anni. 
Vocione roco e stonatissimo, si diceva: un timbro quasi waitsiano, reso tremolante e insicuro dal precario stato di salute, che se inizialmente spiazza e fa temere il peggio, via via pare addirittura l'unica maniera possibile di riproporre il canto del cigno dei Pixies prima dello scioglimento avvenuto nel 1991. Sostenuto da una band solida ma non strabiliante che si limita a ricalcare le canzoni della storica band di Boston, il buon Micah si lancia in urla belluine degne del miglior Black Francis, rese ancora più surreali dai movimenti a tratti degni di uno Ian Curtis dei giorni nostri, accentuati dal tutore che gli blocca il braccio sinistro. I timori di un flop svaniscono ben presto, Hinson sembra nato con queste canzoni addosso ed è fantastico riascoltare Alec Eiffel, Planet of Sound, Subbacultcha, Head On ("cover al quadrato", giacchè i Pixies la ripresero dal repertorio dei Jesus and Mary Chain), U-Mass, Lovely Day, Motorway to Roswell, chicche dimenticate come "Bird Dream of the Olympus Mons".
Tornato a casa rivedrò gli scarsi spezzoni che si trovano su Yutube, relativi al concerto di luglio appena prima dell'incidente, che mi convinceranno che si, con la voce di stasera è stata tutta un'altra cosa.

Per i generosi bis (condite di siparietti tra il cantante e la band, con tanto di pastiglie - per il mal di schiena o altro? - prese tra una canzone e l'altra) il repertorio è il suo e si cambia atmosfere, rimanendo su livelli altissimi di emozione. Il finale è una versione solitaria di "Drift Off to Sleep", che naturalmente non conosco ma che ancora una volta mi fa capire che sono davanti a un grande artista.