domenica 31 luglio 2011

Dio esiste: "Fantastic Four" di Lee & Kirby torna in edicola.

La benemerita (almeno in questo caso) Panini Comics da circa un anno ci sta riprovando con le ristampe da edicola di classico materiale Marvel degli anni '60. Dopo anni di insuccessi l'editore modenese sta cercando in qualche modo di sfruttare la scia dei film che proprio in questi mesi stanno riportando in auge personaggi legati al mondo Avengers per far uscire "Marvel Collection", una testata mensile che ha finora proposto in cicli di 4 numeri albi proprio di Capitan America, Thor e proprio i Vendicatori.
Ora è il turno di Fantastic Four, finalmente. Si, perchè le storie dei Fantastici Quattro di Stan "the man" Lee e Jack "the king" Kirby (con Joe Sinnott: inchiostratore di importanza fondamentale con cui iniziò il salto di qualità) sono quanto di più marvelliano sia mai stato pubblicato: nel senso di "tipico Marvel", essendo queste storie vecchie di 45 anni l'essenza stessa della golden age della casa editrice newyorkese, con tutti i personaggi e le trame su cui si sono basate le storie dei decenni successivi (a parte i 4, cito solo gli Inumani, Galactus, Silver Surfer, il Dottor Destino, Namor, Pantera Nera, Klaw... basta così?). Ma anche per il senso di meraviglia e stupore che ancora oggi queste storie suscitano nel lettore: certo, i dialoghi del vecchio Stan sono invecchiati maluccio, ridondanti e ingenui come molte delle trame se facciamo un paragone con lo stile odierno, ma basta ammirare i disegni di Kirby per lasciarsi trasportare in un mondo fantastico fatto di alieni, mostri, tecnologia avveniristica, universi paralleli e buchi spaziotemporali.

Lee e Kirby hanno saputo creare con i loro supereroi un universo entrato ormai nell'immaginario collettivo, così come fece Carl Barks con i suoi paperi disneyani: un mondo fantastico e allo stesso tempo credibile, popolato di eroi che sono persone come noi e con cui per questo ci possiamo identificare. Un mondo che oggi, grazie soprattutto all'industria cinematografica hollywoodiana, fa parte della quotidianità di diverse generazioni: si pensi ai film sui Fantastici Quattro, certo, ma anche Spiderman, Iron Man, X-Men, Devil, Hulk e, proprio in questi mesi, Thor, Capitan America e prossimamente i Vendicatori. Risultati altalenanti, certo, ma in generale ottime produzioni (tranne quella su Devil, davvero orripilante) dal budget elevato e con cast di tutto rispetto.
Continuo però a pensare che noi che negli anni 70 abbiamo scoperto questo mondo direttamente sulle pagine di coloratissimi fumetti siamo decisamente più fortunati: rileggere oggi quelle storie me ne da la conferma. Per questo spero che stavolta questa iniziativa editoriale duri nel tempo e che ci dia l'opportunità di rileggere ancora decine e decine delle storie classiche con cui sono cresciuto: la passione dei redattori di Panini, direttore Lupoi (grandissimo appassionato del Quaartetto) in testa, è in questo caso buona garanzia se non di riuscita almeno di caparbietà. Non voglio credere che la (temporanea?) chiusura dell'analogo esperimento con le ristampe di Marvel Team Up sia un cattivo segnale in tal senso...
Per dirla con Stan Lee: 'NUFF SAID!

PS. Per gli appassionati di Jack Kirby (che già lo sapranno, se no che appassionati sono!), segnalo l'uscita italiana del volume "Jack Kirby, King of Comics" curata delle Edizioni BD. Imperdibile.

martedì 26 luglio 2011

sogni d'oro a tutti


Floating far above the cloud
Sinking far below the ground
No form only my senses remain

martedì 19 luglio 2011

another ZZ night

L'altra sera sono tornato a vedere gli ZZ Top in concerto, un anno dopo la mia prima esperienza live con i barbuti a Vigevano, quello che definii il mio concerto dell'anno 2010 (e da cui sono tratte le foto di questo post). Stavolta suonavano a Barcellona, nella piazzetta del Poble Espanyol: mi chiedevo come potesse essere un concerto qui, io che ricordavo questo fintissimo paesino costruito ad hoc per i turisti come piccolino e molto kitch. Quest'anno ci ha suonato Dylan, per dire, e ci è tornato il carrozzone del Primavera Sound, che proprio al Poble Espanyol aveva mosso i primi passi più di un decennio fa. In effetti non è male, devo dire: capienza giusta per concerti di questa portata, persino un suo fascino se ben illuminato, pacchiano il giusto per gente abituata a cappellacci e paillettes se pure in salsa western come i Nostri. Da "Viva Las Vegas" a "Visca el Poble Espanyol" il passo può essere breve, insomma.
Stendendo un velo pietoso sul gruppo spalla, ecco dunque le mie barbe preferite a iniziare alle 22 in punto la loro lezione di blues rock texano: poche le sorprese in una scaletta che ricalca quasi esattamente quella del tour dello scorso anno e in buona parte quella del paio di DVD live pubblicati ultimamente. Ma va benissimo così: partenza a razzo con "Got me under pressure" e poi subito la doppietta "Waiting for the bus"/"Jesus just left Chicago". Dusty Hill e Frank Beard, l'unico dei tre che la barba ce l'ha nel cognome e non in faccia, scandiscono la ritmica in modo perfetto, mentre Billy Gibbons, colui che quarant'anni fa un certo Jimi Hendrix incoronò suo erede, alterna assoli da brivido a pezzi ritmici come probabilmente non ho mai visto fare da nessuno. Non importa che il brano più recente che hanno fatto risalga al '92 ("Pincushion", da "Antenna"): oscilliamo tra i Settanta ("Just got paid", "Brown sugar", "Cheap sunglasses", "I'm bad, I'm nationwide") e gli Ottanta che diedero loro il successo mondiale (la triade "Gimme all our loving", "Sharp dressed men" e "Legs" con tanto di chitarra e basso ricoperti di pelo bianco) e non potrremmo chiedere di più. Una canzone che non conosco, se è un assaggio dal tanto atteso nuovo album prodotto da re mida Rick Rubin, non promette nulla di buono, e tutto sommato anche la cover di "Hey Joe" non ci sta granchè bene. Per il sottoscritto il top della serata è stato il lentaccio "I need you tonight" con un assolo di Billy G di oltre un minuto fatto con la sola mano sinistra (recuperare video di youtube per credere): mi sarei aspettato "Blue Jean blues" ma è stato pure meglio.
Dopo l'immancabile bis di "La Grange" e "Tush" vado a casa ancora una volta soddisfatto, resistendo chissà perchè all'acquisto della maglietta. Saranno anche dinosauri fuori dal tempo, reazionari sudisti tutti immersi nella mitologia "donne e motori", ma al diavolo: di musica così non se ne fa più. Trovatemi un gruppo gggiovane che salga sul palco con questa classe, questa perizia tecnica messa al servizio delle canzoni, senza mai una nota di troppo e con questa modestia e bonaria simpatia.
Chitarra, basso batteria e barbe: long live ZZ Top, gente.

venerdì 8 luglio 2011

il primo amore non si scorda mai: Violent Femmes/"3" (1989)

Si sa, non sempre le cose che preferiamo sono le migliori. "3" non è il miglior album dei Violent Femmes, sicuramente no, ma è il primo che ho ascoltato del gruppo di Milwakee, ed è stato amore a primo ascolto: uno degli amori più travolgenti che abbia provato durante la mia lunga carriera di ascoltatore rockettaro.

Col senno di poi è facile inquadrare gli eventi in un modo diverso: quarto album del gruppo, "3" viene dopo i capolavori assoluti degli esordi, l'omonimo del 1983 e il seguito "Hallowed Ground" dell'anno seguente soprattutto. Dischi unici, caratterizzati da strumenti per lo più acustici (chitarra, lo spettacolare basso acustico di Brian Ritchie e la rudimentale batteria "fatta in casa" di Victor Delorenzo suonata con le spazzole) in stile buskers, dalla voce stridula e nasale di Gordon Gano e da uno spirito decisamente punk venato da ironia, sarcasmo adolescenziale e grande immediatezza. Uno spettacolo insuperato, di fronte al quale il nostro povero "3" appare piccolino. Ma pensate piuttosto di ascoltarlo per primo, come feci io, senza conoscere "Add it up", "Kiss off", "Promise", "Country death song", "Jesus walking on the water" e nessuno dei capolavori disseminati nei due album d'esordio. Neppure "Blister in the sun", via: e sembra oggi davvero impossibile. Senza sapere nemmeno che il gruppo si sciolse per un paio d'anni dopo "The blind leading the naked", il terzo album (sovra)prodotto dalla Testa Parlante Jerry Harrison, e che quindi siamo qui di fronte a un nuovo inizio.
"3" offre esattamente quanto promette la copertina: tre musicisti soli con la loro basica strumentazione, quella acustica degli esordi, proprio nel tentativo di ritrovare quella semplicità e quella contagiosa immediatezza.

"Nightmares", il singolo d'apertura di cui girò anche un video pochissimo visto su Mtv, pare rispettare le promesse con il suo ritornello coinvolgente, e altrettanto fanno le frenetiche "Just like my father" e "Dating days": basso acustico scatenato, spazzole pestate sullo snare drum (in pratica un secchio metallico rovesciato su un rullante, fatto in casa da DeLorenzo e suonato in piedi, come avrò modo di vedere nel 1991 nel mio primo concerto dal vivo dei Femmes, durante la tournée del successivo "Why do birds sing?") e testi stralunati urlati da Gano. La deliziosa "Fat" ci fa riprendere fiato prima dell'assalto elettrico di "Fool in the fool moon", e da lì in poi l'atmosfera dell'album cambia e si fa più riflessiva, malinconica, lenta. Con le uniche eccezioni di "Telephone book" (divertente ma innocua) e "Lies" (di maggior spessore, con il banjo in prima linea), praticamente tutte le canzoni della seconda parte del disco sono lente e amare: solo chitarra e voce (la cupissima "Nothing worth living for", la conclusiva "See my ships" che fa riferimento alla tragica morte di Marvin Gaye ucciso da un colpo d'arma da fuoco esploso dal padre), o con sommessi interventi di sax e tastiere di una versione dei fedeli Horns of Dilemma decisamente ridotta rispetto ai due album precedenti ("World we're living in", "Outside the palace", la leggermente più vivace "Mother of a girl"), questa sequenza di canzoni rappresenta un esempio unico negli otto album di studio del trio di Milwakee.
Ascoltando "3" scoprii un gruppo fantastico, che è stato per moltissimi anni il mio preferito nonostante il calo progressivo di ispirazione che si farà sempre più evidente, l'abbandono di Victor DeLorenzo nel 1993 (il sostituto Guy Hoffman non sarà all'altezza, il suo drumming decisamente più adatto ad un suono più banalmente rock), la decisione di non produrre più nuova musica dopo la delusione per l'insuccesso del discreto "Freak Magnet" del 2000 e le crescenti tensioni tra Gordon Gano e Brian Ritchie che porterà allo scioglimento del 2008, che stavolta pare davvero definitivo.
Una passione, la mia, che mi ha portato nel corso degli anni a cercare tutto il materiale pubblicato dal gruppo e dai suoi componenti come solisti:ma questa è un'altra storia, e ci sarà occasione per scriverne ancora.