venerdì 12 novembre 2010

il mio cantante preferito di tutti i tempi: ELLIOTT SMITH

In questi giorni di malattia passati a casa, in cui per la verità ho lavorato di più di quando sono in ufficio, ho approfittato per scaricare un po' di roba dalla rete. Qualche disco, un paio di film, un paio di documentari (uno su Giancarlo Siani, dopo aver visto finalmente "Fortapasc" di Marco Risi, e l'altro sul moglie e figlio "segretati" da Mussolini, dopo aver visto "Vincere" di Bellocchio), e qualche concerto video. Tra gli altri, un live acustico di Elliott Smith del 1999 all'Olympia di Washington.
Ho molto amato Elliott Smith e le sue canzoni tristi, malinconiche, spesso disperate. Ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore di appassionato di musica e anche nel mio cuore e basta, come fanno molte persone dalla storia travagliata e problematica alla cui storia mi sono appassionato: per restare in ambito musicale, Syd Barrett, Mark Eitzel, e altri loser più o meno famosi.
Di sicuro Elliott Smith non è mai stato un vincente, nè ha mai voluto esserlo: una vita ai margini dello showbiz, grunge all'ombra del grunge con la sua band (gli Heatmiser), autore di delicate canzoni acustiche quando andava di moda pestare forte sugli strumenti, sempre in punta di piedi suonando quello che piaceva a lui. Ossia canzoni sulla solitudine, sull'abbandono, sull'alcool e le droghe, sul suicidio: tutte situazioni che aveva provato sulla sua pelle o che tragicamente proverà in futuro. Testi crudi e poetici e melodie toccanti e molto personali, che si evolvono dallo stile quasi amatoriale dei primi album fino allo stile più ricco e agli arrangiamenti più elaborati degli ultimi lavori. In mezzo, una candidatura all'Oscar e una improvvisa visibilità che invece di dar luce alla sua carriera e alla sua vita lo fanno piombare in una depressione da cui non uscirà più. Un disagio verso i riflettori, una diffidenza verso il successo per molti versi paragonabili a quelle di Kurt Kobain, e destinate a risolversi con la stessa, tragica, fine.
Le performances dal vivo di Elliott Smith sono lo specchio fedele di questa evoluzione. Se ne trovano molte in rete, in video (su youtube naturalmente: si veda ad esempio la sua timida performance alla notte degli Oscar prima di Céline Dion, tutto vestito di bianco con gli occhi bassi a suonare quella magnifica "Miss Misery" candidata per "Good Will Hunting", e a domandarsi "che ci faccio io qui?" - e noi con lui) e in audio. Molti concerti possono essere scaricati gratuitamente qui: ce ne sono di tutte le sue fasi della sua carriera, dai concerti acustici degli esordi a quelli con band elettrica del periodo "Figure of 8", e ancora le performances tristi e sfasate degli ultimi mesi prima della morte, in cui il miglior modo per sfuggire alla fama e a quel senso di inadeguatezza che ne derivava era parso di nuovo l'alcool. Scaricateli, e ascoltateli, ne vale la pena: tutto è emozione quelle tracce, le pause e le chiacchiere col pubblico quasi più che le canzoni stesse.
Sono passati già 7 anni dalla sua morte, e ricordo benissimo il mio stato d'animo quando lessi la notizia: una grande tristezza, e un senso di impotenza di fronte all'ingiustizia della vita. Oggi leggo che è uscita una raccolta di sue canzoni, e spero davvero che qualcuno la compri e che si innamori di quelle melodie come era capitato a me.

Well, I don't know where I'll go now
And I don't really care who follows me there
But I'll burn every bridge that I cross
And find some beautiful place to get lost
And find some beautiful place to get lost
("Let's get lost", 2003)

3 commenti:

  1. ecco bravo.
    già ero giù di morale..
    mo' siamo a posto...

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  2. questo si che è "very bad mood"...

    AV

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  3. beh la vita non è fatta solo di gioie... ES era un grande cantore della sofferenza. Ascoltare le sue canzoni mi trasmette, nonostante tutto, una grande pace interiore...

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