domenica 7 novembre 2010

il mio manga preferito di tutti i tempi: JIRO TANIGUCHI/AL TEMPO DI PAPÀ

Non ho mai amato particolarmente il fumetto giapponese. O forse l'ho solo evitato, ne sono stato alla larga per evitare di essere risucchiato anche in quel mondo sterminato, come se non ne avessi già abbastanza di tutto il resto: supereroi, graphic novels, bonellismi e maxbunkerismi vari. Dove avrei trovato il tempo di leggerli? e soprattutto: dove minchia li avrei messi?? Meglio autoconvincersi che non mi piacesse, con tutti quegli occhi strani e quei retini e quei segni cinetici. Praticamente lo stesso meccanismo di autoconservazione che ho adottato con la Nutella e con i videogiochi: sono già abbastanza panzone e chiuso in me stesso da non potermi permettere altre cause di deriva fisica e psichica, quindi via col falsissimo "non mi piace". In effetti credo di aver letto solo qualcosa di Akira, senza grande entusiasmo (ma in quel caso influisce anche il mio scarso feeling con certo tipo di fantascienza) e "La storia dei tre Adolf" di Osamu Tezuka (bellissimo, invece).
Almeno finchè non mi sono imbattuto in Jiro Taniguchi, "il più europeo dei mangaka giapponesi" come viene definito, e della sua opera mi sono letteralmente innamorato. L'ultimo della sua lunga serie di romanzi a fumetti che ho letto è "Al tempo di papà", recentemente ristampato da Panini Comics nella nuova collana "Taniguchi collection" che - appunto - ripropone l'opera dell'autore.
Come in molte sue opere, anche in questi 12 capitoli che compongono il racconto l'autore ci presenta storie semplici e quotidiane di persone, più che personaggi, in cui tutti ci possiamo identificare nonostante la distanza geografica e culturale che ci separa del paese del Sol Levante. Non starò a riassumere la trama e le vicende di Youichi Yamashita e della sua famiglia, della sua vicenda di conflitti interiori con un padre che non ha mai capito e che riscopre davvero solo dopo la morte, nè vi racconterò i dettagli del suo rientro nel paese natale di Tottori (lo stesso in cui è nato l'autore stesso) e dei molti feedback che riempiono il romanzo e attraverso cui l'intera saga familiare ci viene svelata. Quelli si possono trovare agevolmente in rete insieme a molte recensioni; questa è una storia di sentimenti ed emozioni che a me non va di raccontare a parole. É una vicenda di silenzi e di legami intangibili, in cui il protagonista rimette poco a poco insieme i pezzi di una vita vissuta in gran parte scappando da una famiglia spezzata e non capita, e da un paese natale che rappresentava il dolore di questa perdita. Una storia che, come molte grandi storie, mi ha fatto pensare profondamente a me stesso. Alla fine anch'io ho passato gran parte dei miei anni in fuga da qualcosa o qualcuno, incapace di affrontare tante delle responsabilità che la vita - e i rapporti con le persone che ho tanto amato - mi hanno piazzato davanti. Mi è capitato di covare grandi e piccoli rancori, che è un modo molto ma molto semplice per evitare il confronto e soprattutto per non ammettere a sé stessi le proprie mancanze e le proprie colpe, per scappare e non affrontare le cose complicate da affrontare. Non ho davvero capito molte delle persone a me vicine, non ho capito il vero motivo di certi comportamenti e di certe debolezze, assumendo atteggiamenti troppo rigidi verso altri e troppo indulgenti verso me stesso. E ho creato le condizioni per tanti piccoli e grandi silenzi, per tante piccole e grandi fughe.
Ora sono stufo di silenzio e lontananza, e mi pare di capire finalmente che di colpe ne ho avute anch'io, eccome, e che soprattutto non è un dramma averne: è la vita che ci porta a fare cazzate e prendere abbagli. Ma la stessa vita ci da l'opportunità di capire e di rimetterci in piedi se davvero lo vogliamo, e al diavolo i sensi di colpa.
Purtroppo per molti dei danni fatti (uno in particolare, il più grosso, per quanto mi riguarda) non c'è modo di rimediare come vorrei, ma spero comunque di avere l'opportunità di riprendere un dialogo, un giorno. Per il resto, le emozioni sono quelle che ci fanno sentire vivi, e le emozioni vengono anche e soprattutto dalle persone che amiamo e che ci amano, e persino dai luoghi (fisici, spirituali) che queste rappresentano. Averne paura ci rende aridi, e scoprire "quello che avrebbe dovuto essere" solo quando è troppo tardi, come capita a You nel libro di Taniguchi (perchè è di quello che avrei voluto parlare, egocentrico che non sono altro), è un gran peccato. Grazie Jiro per avermi dato una conferma di questo, e per avermi insegnato cose fondamentali della vita solo e semplicemente scrivendo e disegnando uno splendido romanzo.

5 commenti:

  1. troppo lungo
    gnnnnnnnnnnna faccio.
    bravo comuqnue scrivi bene (ma quanto sei prolisssssssssssssssssssssssssssssssssooo)

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  2. l'ho sempre detto! anzi, ora lo dichiaro pure (vedi sottotitolo!) ;-)
    voi giovani della "mtv generation" non sapete soffermarvi sulle cose :-)

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  3. hey pische, kevvoi da noi giovani, siamo trp velox per voi matusa, viviamo a 100 all'ora snz nemmeno spettinarci. Sai ke si prpr vekkio?
    ma sei anche pische, xkè i fume sono roba da bimbetti, è ora di crescere, komincia a gurdare il GF...

    AV

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  4. Se gli parli col cuore...loro rispondono....e il sakè diventa un buon sakè.

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