venerdì 30 dicembre 2011

21 anni nel Mucchio

Ho iniziato a interessarmi al rock e alla musica in generale in maniera più consapevole nell'estate del 1990, anno della maturità scientifica, grazie soprattutto ad alcuni compagni di classe che ne sapevano più di me e mi facevano "le cassette", e ad alcune trasmissioni radiofoniche ormai estinte (do you remember Stereonotte?). Ma non mi bastava, avevo bisogno di qualcosa di più "organizzato" e fu così che mi diedi alla lettura di riviste specializzate: Buscadero (poco), Rockerilla, Velvet, in seguito Rumore. Tutte abbandonate col tempo, tranne una: il Mucchio Selvaggio (per gli amici semplicemente "il Mucchio"), di cui non ho perso un numero da allora.
In particolare ricordo ancora oggi il primo acquisto: novembre 1990, la banana dei Velvet Underground in copertina, l'edicola di via Castelbarco di fronte a quello che ancora si chiamava "City Square" e che da lì a poco mi avrebbe visto spettatore del mio primo concerto "serio": i Violent Femmes.
Col Mucchio iniziai a conoscere cantanti e gruppi che non avevo mai sentito nominare, generi musicali sconosciuti, strumenti strani, storie incredibili:
mi si aprì un mondo magnifico che non pensavo potesse esistere. L'accoppiata Mucchio/noleggio cd mi diede "lavoro" per anni, e fu così che scoprii Tom Waits, Julian Cope, Nick Cave, i Clash, i Depeche Mode, i Pixies, le Throwing Muses, i Primus, Siouxsie and the Banshees, insomma moltissima della musica magnifica che da allora scandisce le mie giornate. E insieme a quella scoprii altro: cultura, libri, film. La politica quella no, ancora sulle pagine del Mucchio ce n'era poca, soprattutto se paragonata a quello che venne dopo.
Fu durante il servizio civile sulla riviera del Brenta, nel '97, che mi abbonai per la prima volta: il primo anno fu in comproprietà con l'amico Checco. Da allora la mia copia è sempre arrivata in casella, mai perso un numero, neppure oggi che vivo a Barcellona e che il Mucchio rappresenta persino di più: un amico lontano, una certezza che mi aspetta a casa al mio rientro.

Le firme del Mucchio mi divennero col tempo familiari e imparai a distinguere i gusti di ciascuno dei redattori, e a fidarmi più di alcuni che di altri: più di Guglielmi, Cilìa, Cico Casartelli, Mongardini, Vignola, ad esempio, che di Carlo Villa e della sua passione per "la terra d'Albione". Villa che vedevo settimanalmente da Supporti Fonografici, negozio in Porta Ticinese di cui era proprietario; Eddy Cilìa a cui una volta spedii un raro cd di Mark Eitzel che gli mancava. Molti altri a cui mi affezionai: ricordo i tempi in cui ci scriveva Roberto Giallo alias Alessandro Robecchi, e Andrea Scanzi che adoravo, e persino quell'impresentabile di Pierluigi Diaco. E ricordo le interviste a Magnus in un periodo in cui i fumetti erano roba per bambini, il "mio Magnus" che - scoprii - aveva disegnato persino un omaggio alla rivista in occasione del suo decimo anniversario.
Ma il Mucchio era soprattutto Max Stèfani, indubbiamente: fondatore e anima della rivista fin dal primo numero anni e anni prima, sosteneva da sempre la baracca con la sua indubbia personalità e la sua verve polemica che emerse sempre più forte col passare del tempo, via via che diminuiva il suo coinvolgimento diretto e attivo alla parte musicale della sua creatura.
Le cose cambiarono con gli anni: prima il Mucchio settimanale, "esperimento" durato parecchi anni, poi il ritorno alla mensilità con un deciso cambio di direzione, soprattutto per la parte extra-musicale che si ampliò notevolmente trattando spesso temi scottanti e trasversali (ricordo con piacere un'intervista ad Antonino Caponnetto, tra le tante degne di nota). E poi gli approfondimenti del Mucchio Extra, davvero ben fatti e necessari in tempi come i nostri in cui le notizie sono sempre più rapide e superficiali, e i vari speciali a tema. E quanti concerti visti gratis quando ero studente e il settimanale arrivava puntuale il lunedì, un giorno prima dell'uscita in edicola, con i suoi concorsi stile "il primo che chiama vince"!

Oggi il Mucchio è in difficoltà. Max Stèfani non c'è più, se n'è andato o l'hanno cacciato, chissà, e la guida del giornale è nelle mani di Daniela Federico e di una redazione capace che sta continuando a mantenere il livello molto alto: Guglielmi, Bordone, Cilìa, Vignola, Castelli, Pasini, Besselva Averame, Del Papa, Raugei, Ivic, altri ancora. Molte polemiche tra le due "fazioni" si sono potute leggere ultimamente su Facebook, e onestamente le ho trovate quasi sempre eccessive e non degne del nome degli interessati. Ho la mia opinione, naturalmente, ma in questo contesto me la tengo per me perchè ora non ha nemmeno tanta importanza stabilire chi è il buono e chi il cattivo. Il punto è un altro: il Mucchio rischia di chiudere dopo trentacinque anni, soprattutto a causa delle nuove norme in materia di finanziamenti pubblici ai giornali.
Perdere il Mucchio vorrebbe dire perdere una voce libera, un'autorità in materia musicale e non solo; un cervello capace di pensare fuori dal coro, e di questi temi non è poco. Io personalmente perderei un pezzo della mia vita lungo 21 anni, una bella fetta di quello che sono diventato, e una certezza per il futuro dato che non stiamo certo parlando di una rivista agonizzante ma al contrario viva e vispa come ai tempi migliori.
Non voglio che il Mucchio chiuda. Per questo oggi ho rinnovato il mio abbonamento con la formula "sostenitore", perchè agli amici bisogna dare una mano nel momento del bisogno. Se avete a cuore il destino di questo giornale e dell'informazione libera in un paese disastrato come il nostro, andate su www.ilmucchio.it e abbonatevi anche voi. Non ve ne pentirete, ne sono sicuro.

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